Il potere delle recensioni – Come si scrive un libro 20
A cosa servono le recensioni? L’enorme potere delle recensioni Come è fatta una recensione? Recensioni, testimonianze, storie di successo e casi studio Come si ottiene una recensione? Quante volte per scegliere dove andare a cena, prima hai controllato le recensioni del locale su Google o Tripadvisor? O quanto spesso, prima di acquistare qualcosa su Amazon, hai confrontato un po’ di recensioni di prodotti simili? Oppure… spenderesti mai dei soldi per un prodotto o servizio le cui pagine sono costellate di pessime recensioni? Non credo proprio. E così come fai tu… fanno anche i tuoi clienti! Il potere delle recensioni è enorme e tangibile: è un po’ come dare un megafono al passaparola. Grazie alle recensioni , infatti, i potenziali clienti possono ascoltare le opinioni di moltissime persone reali, anche se non le conoscono di persona, e avvicinarsi con più facilità all’acquisto… Ecco perché devi assolutamente inserirle nel libro della tua azienda! Potrebbe sembrarti un’idea curiosa: di solito i libri non contengono recensioni, anzi: sono i lettori che dopo averli letti li recensiscono. Tuttavia, in questo caso, ti consiglio vivamente, quando scrivi il tuo libro, di includere un po’ di recensioni positive che la tua azienda ha ricevuto: può trattarsi di un capitolo aggiuntivo dedicato solo a questo, o di inserirle in punti strategici disseminati tra le pagine. Questo perché le recensioni positive servono per tranquillizzare istantaneamente chi legge, mettere a tacere dei dubbi, rispondere a domande che affollano la mente del cliente prima del fatidico momento dell’acquisto: sono uno strumento fondamentale nella tua strategia di comunicazione e in generale nel tuo sistema di vendita… compreso il tuo libro! I principali risultati che ottieni grazie al potere delle recensioni sono: Aumentare la fiducia: Le recensioni positive fungono da garanzia per i potenziali clienti. Quando vedono che altri sono soddisfatti dei tuoi prodotti o servizi, sono più propensi a scegliere la tua azienda. Migliorare la visibilità: Le recensioni influenzano notevolmente il posizionamento della tua attività nei motori di ricerca. Più recensioni positive hai, più in alto apparirai nei risultati di ricerca. Generare nuovi clienti: Le recensioni sono un potente strumento di marketing a costo zero. Clienti soddisfatti si trasformano in veri e propri ambasciatori del tuo brand, consigliandoti ai loro amici e familiari… e a migliaia di persone online! Fornire preziosi feedback: Le recensioni negative, se analizzate con attenzione, possono offrirti preziose informazioni per migliorare i tuoi prodotti o servizi. Differenziare la tua azienda: In un mercato sempre più competitivo, le recensioni ti aiutano a distinguerti dai tuoi concorrenti e a costruire una reputazione solida. Non so se ci hai fatto caso leggendo poco sopra, ma voglio puntualizzare una cosa importante sulle recensioni: sono a COSTO ZERO. O quasi: il massimo che devi fare è impostare un sistema in automazione per chiederle e raccoglierle, che però una volta impostato lavorerà da solo, al posto tuo, giorno e notte tutti i giorni… e/o ricordarti di chiederle a ogni cliente che soddisfi, così che quando ne avrai bisogno durante la stesura del tuo libro non avrai che da scegliere le migliori! Tuttavia… se vuoi massimizzare l’efficacia e i risultati portati dal potere delle recensioni, ci sono alcuni accorgimenti che devi adottare. Ad esempio: come è fatta la recensione perfetta? COME È FATTA UNA RECENSIONE? Punto primo, essenziale, fondamentale e non negoziabile: una recensione deve essere VERA. Non cadere mai in tentazione di inventarle: i clienti se ne accorgeranno, in un modo o nell’altro. E tu otterrai l’effetto contrario: distruggerai non solo il potere delle recensioni, ma anche la fiducia verso di te e li allontanerai per sempre, facendoli fuggire verso concorrenti che dispongono di recensioni reali e affidabili. Dopodiché… tu non hai il controllo su come le recensioni su di te vengono scritte, non essendo tu l’autore; tuttavia, ci sono degli accorgimenti che puoi adottare per presentarle nella loro miglior versione. Abbiamo due casi principali: Quando hai già delle recensioni, e quindi devi scegliere quali usare e come presentarle Quando chiedi delle recensioni, e quindi puoi in qualche modo indirizzare chi te le lascia, facendogli delle domande precise (ma di questo parliamo nell’ultima sezione di questo articolo) Partiamo dal primo punto: quali recensioni scegliere, e come presentarle? Le informazioni e gli elementi che una recensione perfetta dovrebbe avere sono: Nome Inserisci sempre il nome e il cognome della persona che ti ha lasciato una recensione, in modo da mostrare la sua veridicità. Ovviamente, attento alla privacy: un conto è fare uno screenshot di una recensione pubblica fatta su Google o sui social; in altri casi, come ad esempio conversazioni private, assicurati sempre di chiedere il permesso al diretto interessato. Foto Stesso discorso vale per le foto: una recensione con la foto accanto al nome subito viene percepita come più reale e attendibile Titolo Di solito, a meno che non siano su Tripadvisor, le recensioni non hanno un titolo; tuttavia, puoi aggiungerlo tu, specialmente se anziché riportare lo screenshot ricopi il testo per impaginarlo in maniera diversa. In questo caso, ti consiglio di scegliere come titolo la frase della recensione che per te è più significativa. Introduzione L’ideale sarebbe avere un’introduzione che spiega come e dove il cliente ha trovato il tuo prodotto/servizio “ho visto una sponsorizzata sui social…”; “ho letto un articolo blog…” e via dicendo. Questo tipo di informazioni aiutano chi legge a identificarsi con chi scrive e a sentirsi più in affinità verso ciò di cui si sta parlando (ovvero, la tua azienda). Racconto di come il tuo prodotto/servizio ha risolto un problema Questo è il vero cuore della recensione, ciò che le dà forza maggiore. Quando i clienti acquistano qualcosa, lo fanno sempre per risolvere un problema o esaudire un bisogno. Perciò, prima di acquistare, la vera grande domanda che i potenziali clienti si pongono è “Questa cosa risolverà DAVVERO il mio problema?” Ed ecco che la recensione risponde con precisione a questa domanda,
Forestierismi: sì, no, come? – Come si scrive un libro 19
Come si scrivono i forestierismi Forestierismi e parole straniere: l’italiano non sta morendo Tipi di forestierismi Quando usarli e come scriverli I forestierismi, ovvero le parole straniere: vanno usati oppure no? Si scrivono in corsivo? E come funziona il plurale? Ma soprattutto… quali sono i rischi che corri con il tuo libro se non ci fai attenzione? Non vorrai certo trasformarlo in un mattone illeggibile pieno di parole in inglese (o peggio, pseudo inglese) usate a casaccio per darsi un tono da grandi “business man”… e ottenendo come risultato solo un testo insopportabile da leggere (e il tuo libro usato come fermaporta). Ma partiamo dall’inizio: oggi ci addentriamo in una vera e propria palude: quella dell’uso delle parole straniere in italiano. Il tema è molto articolato, e quindi molto dibattuto: sicuramente sarà capitato anche a te di imbatterti, più d’una volta, in titoloni che annunciano la prossima morte della lingua italiana, soppiantata dall’inglese. Innanzitutto, stiamo molto calmi: la lingua italiana NON sta morendo. La contaminazione linguistica è un fenomeno naturale e vecchio quanto le lingue stesse: parole come giardino e cotoletta, che oggi sono italianissime, derivano in realtà dal francese, così come bolscevico deriva dal russo, maiolica dallo spagnolo e cioccolato nientemeno che dall’azteco. Non solo: questo processo avviene anche al contrario. L’italiano ha influenzato tantissime lingue, a partire da parole ormai universali come spaghetti o pizza… ma sapevi, per esempio, che in polacco ci sono tantissime parole di origine italiana? È grazie alla principessa italiana Bona Sforza, che nel 1500 sposò il re polacco Sigismondo, portandosi dietro la sua cultura, se oggi in polacco cavolfiore si dice kalafior e conto corrente si dice kontokurent. Ma torniamo in terra italica: non tutte le parole di origine straniera sono uguali. Quando parliamo o scriviamo, anche a istinto, parole come cioccolato e cotoletta ci suonano diverse da computer o email, o ancora di più da weekend o proofreader. E il nostro istinto ha proprio ragione: tutte queste parole derivano in qualche modo da un’altra lingua… ma la loro natura è molto diversa. Quindi, la prima cosa fare è capire esattamente di cosa stiamo parlando: di prestiti linguistici “di lusso” o “di necessità”? Di parole entrate nell’uso comune, o di tecnicismi specialistici? Cosa intendiamo esattamente per forestierismi? Ma soprattutto… come e quando è corretto usarli, e come dobbiamo comportarci in loro presenza? TANTE PAROLE STRANIERE, TUTTE DIVERSE Partiamo dalla definizione della Treccani: cosa sono esattamente i forestierismi? forestierismo s. m. [der. di forestiero]. – […] Parola, locuzione, o anche costrutto sintattico, introdotti più o meno stabilmente in una lingua da una lingua straniera, sia nella forma originaria (nel qual caso si chiamano anche esotismi: per es., il fr. garage, l’ingl. week-end, il ted. Leitmotiv), sia con adattamento alla struttura fonetica e morfologica della lingua d’arrivo (nel qual caso in linguistica si parla più propriam. di prestito: per es., dettaglio, bistecca). […] A seconda del paese d’origine, i forestierismi penetrati nell’italiano si distinguono in francesismi (o gallicismi), anglicismi, germanismi, spagnolismi (o iberismi o ispanismi), ecc. Dunque, le parole straniere entrano nella nostra lingua a livelli diversi. Per prima cosa, possiamo lasciare da parte le parole di etimologia straniera, ma ormai entrate stabilmente nel sistema linguistico italiano, tanto da risultare difficilmente riconoscibili a prima vista: i forestierismi adattati, o più propriamente prestiti linguistici. Ad esempio, abbiamo azzardo dal francese hasard, o bistecca da beefsteak: la loro origine straniera ormai non si percepisce più, e le parole seguono le normali regole per quanto riguarda la concordanza singolare/plurale, maschile/femminile, gli articoli e via dicendo. Quelli su cui ci concentriamo oggi sono i forestierismi non adattati: parole che ci accorgiamo subito essere straniere, ma che possono essere di due tipi, e a seconda di questi cambiano le regole per servirsene in un testo. FORESTIERISMI DI USO COMUNE In questo caso, abbiamo a che fare con parole di origine chiaramente straniera, ma che ormai da tempo sono entrate stabilmente nell’uso comune: tutti i parlanti conoscono il loro significato e li usano senza generare problemi di incomprensione. Esempi: computer, email, t-shirt, password, display, film, babysitter, scoop, bidet, toilette, baguette, ecc. Come dobbiamo comportarci in presenza di questa tipologia di parole? Finché stiamo parlando, il problema non si pone… ma al momento della scrittura? Ci sono alcune regole da seguire, altrimenti… BACCHETTATE! Grafia: prima di tutto, ricordati sempre di utilizzare la grafia corretta. Vale per qualsiasi parola, ma per i forestierismi ci vuole un occhio di riguardo in più: si scrive déjà-vu, non dejavu. Il dizionario è un tuo alleato potente: usalo sempre! Corsivo: in questo caso, non è necessario scrivere in corsivo questi forestierismi. Genere: si usa il genere con il quale si sono affermate in italiano, che di solito corrisponde a quello della lingua d’origine. Se nella lingua d’origine una parola era di genere neutro, di solito in italiano prende genere maschile. Plurale: NON si forma. Le parole di uso comune rimangono sempre invariate: non scriveresti mai due computers, e nemmeno due films o due baguettes. Ed ecco il motivo per cui non dovresti MAI scrivere curricola: la forma curriculum, proveniente dal latino, si è attestata ormai da lungo tempo, ed è quindi considerata invariabile. L’unica eccezione è quando abbiamo a che fare con parole che si sono stabilizzate solo nella loro forma plurale, come jeans o tapas… che quindi in italiano non hanno forma singolare. FORESTIERISMI RECENTI O SPECIALISTICI Il discorso cambia quando abbiamo a che fare con neologismi, quindi con parole che solo di recente stanno arrivando nella nostra lingua, o con termini molto specialistici o tecnici. In questo caso, non possiamo dare per scontato che tutte le persone riescano a comprenderle, perciò in un testo dobbiamo in qualche modo metterle in evidenza, che sia usando il corsivo o le virgolette. Esempi: qui potrei elencare qualsiasi parola straniera mi venga in mente (che ovviamente non ricada nella categoria che abbiamo visto sopra. Ringkompostion (tedesco; struttura
Il potere delle citazioni – Come si scrive un libro 18
L’importanza delle citazioni Vuoi scrivere un libro che emani Autorità e competenza? Fai delle citazioni! Mostra che hai studiato, che ti sei documentato e che conosci benissimo l’argomento di cui tratti. Però… mettiamo subito le cose in chiaro: citare NON vuol dire copiare. COPIARE è SBAGLIATO, e non si deve MAI fare. Oltre a essere sbagliato dal punto di vista dell’etica professionale, copiare parole altrui spacciandole per proprie di solito è anche controproducente: Se qualcuno ti scopre, che sia l’autore o qualcun altro, verrai additato (giustamente) come persona scorretta e non in grado di fare bene il tuo lavoro… e fidati che con Google ci vuole un attimo a fare un controllo Vuoi copiare qualcosa perché ti sembra fatta molto bene e vorresti averla scritta tu? Molto probabilmente, proprio per questo motivo è anche molto conosciuta, e i tuoi lettori se ne accorgerebbero in fretta. Vuoi copiare qualcosa perché pensi che nessuno la conosca? Allora probabilmente non è granché, sicuro che ti convenga copiarla? Se invece ne vale la pena… prima o poi la scopriranno anche gli altri, e tu verrai sbugiardato. Quindi, per evitare le BACCHETTATE… non copiare MAI! MA… …ci sono altre due cose che puoi (e in alcuni casi devi) fare: prendere ispirazione e rielaborare un’idea, facendola tua e migliorandola, oppure CITARE le esatte parole di qualcuno (ovviamente, SEMPRE citando la fonte, in entrambi i casi). “Sono un giornalista che ricorre, con una certa frequenza, alle citazioni: perché ho memoria e perché ho bisogno di appoggi: c’è qualcuno al mondo che la pensava, o la pensa, come me.” Enzo Biagi E come si fa? Ovvero, come puoi sfruttare al massimo il potere delle citazioni per rendere il tuo libro irresistibile? Continua a leggere! PERCHÉ CITARE LE PAROLE DI QUALCUN ALTRO? Ora non ci dilungheremo sulle croci e le delizie della citazione in ambito accademico… …rimaniamo concentrati sulla comunicazione che serve a te, imprenditore/imprenditrice in procinto di scrivere il tuo libro! L’obiettivo è sempre lo stesso: tenere gli occhi dei tuoi clienti attaccati alle tue pagine e portarli dritti verso le braccia della tua azienda. Entrando nello specifico dell’argomento di oggi, ora mi dirai: come può una citazione aiutarmi in tutto ciò? Già mi immagino le obiezioni: Ma se copiare è controproducente… perché dovrebbe servirmi citare le parole di qualcun altro? Ma a me non servono le parole degli altri, io sono CREATIVO! La creatività è sicuramente meravigliosa… ma se non è giustamente indirizzata rischia di essere inutile. Esistono certi casi in cui non solo puoi servirti “delle parole di qualcun altro”, ma DEVI: la citazione ha i suoi superpoteri specifici, che la creatività ignora. Ecco cosa puoi ottenere sfruttando il magico potere delle citazioni: DARE FORZA ALLE TUE AFFERMAZIONI A meno che tu non sia già una celebrità assoluta nel tuo campo… perché i tuoi clienti dovrebbero prendere per oro colato ogni tua affermazione? Quindi, scegli qualcuno che SIA GIÀ un’autorità indiscussa riguardo a ciò che stai dicendo… e serviti delle sue parole, che daranno forza alle tue. Ad esempio, ti sei chiesto perché ti tocca continuare a studiare per migliorare il tuo lavoro, anche se ormai hai finito la scuola da un pezzo? Secondo il filosofo greco Socrate, il motivo è semplice: “Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.” DIMOSTRARE CIÒ CHE AFFERMI Un’affermazione, per essere davvero convincente, deve essere dimostrata: e cosa c’è di meglio per dimostrare qualcosa che servirsi di dati numerici e ricerche ufficiali? Concentrati su cosa rende unico il tuo prodotto o servizio… e scopri chi ha studiato quell’argomento nello specifico, per usare i dati raccolti a tuo vantaggio. Ad esempio, io potrei dirti che un articolo pubblicato dal sito Libreriamo.it in occasione della settimana della lingua italiana nel mondo sostiene che ben il 43% degli italiani tende a commettere errori nell’uso della punteggiatura… …e che scommetto che tu NON vuoi essere tra loro! CREARE EMPATIA CON IL TUO TARGET DI RIFERIMENTO Tutti siamo più ben disposti ad acquistare qualcosa se sentiamo che chi ce lo propone in qualche modo ci capisce e appartiene al nostro mondo. E se una persona ammira le stesse persone che ammiriamo noi, tanto da citarne le parole… immediatamente ci sta simpatica e si crea un legame. “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.” Roy Batty – Blade Runner COME CITARE IN MANIERA CORRETTA Punto primo, sacro e intoccabile delle citazioni: è FONDAMENTALE citare sempre la FONTE, che sia un autore, un sito, un giornale, una ricerca e via dicendo. Se citi parole altrui, indicare la fonte è indispensabile: primo, perché non farlo sarebbe copiare (o addirittura arrivare al plagio, in certi casi); secondo, perché altrimenti, come abbiamo visto, la citazione perde la forza della sua autorità. Quindi, inizia sempre citando l’AUTORE. Se vuoi fare le cose per bene, è buona norma citare, se possibile, il titolo dell’opera (un libro, un giornale, un documentario, un’intervista) da cui tale citazione è tratta e l’anno di pubblicazione; tieni sempre conto del contesto in cui stai scrivendo per capire se è utile oppure no. A volte, ad esempio quando si tratta di ricerche in ambito accademico, può essere utile citare l’ente di appartenenza, che sia un’università o un’organizzazione. Si può fare una citazione in due diversi modi. Può essere diretta, quando citi con precisione una o più frasi parola per parola, o indiretta, quando invece rielabori il concetto con parole tue. “Niente si ottiene in guerra se non per mezzo di precisi calcoli… il caso da solo non è mai apportatore di successo.” Napoleone Bonaparte –> Questa è una citazione diretta (che, non dimenticare, può anche essere integrata nel tuo discorso) Ma per dirti che Napoleone sosteneva che il successo non arriva mai per caso, ma serve una strategia precisa basata sui calcoli, non sono obbligata a usare le sue precise parole: posso anche parafrasarle! –> Visto?
I 10 peggiori errori di ortografia – Come si scrive un libro 17
Gli errori di ortografia Qual’è Piuttosto che al posto di oppure Un pò I pronomi gli/le/loro usati in maniera errata Si al posto di sì Perchè Daccordo, avvolte, pultroppo E‘ Dì al posto di di’ Un’altro Quando leggi un testo, ti danno fastidio gli errori di ortografia? Scommetto di sì. Magari non sei un grammar-nazi a livello Penna Rossa, ma ci sono degli errori che quando li vedi ti fanno accapponare la pelle… e ti viene subito da pensare che chi ha scritto quel testo sia nel migliore dei casi distratto, nel peggiore un ignorante superficiale e poco attento. Vuoi che i lettori del tuo libro pensino questo di te? Non credo proprio! Ebbene, l’ortografia è uno degli elementi che servono per far sì che i tuoi testi si differenzino rispetto alla marea di obbrobri di cui i social e i vari testi dei tuoi concorrenti sono pieni, che vengono giustificati con “eh, ma tanto è roba da grammar-nazi, chissene frega.” SBAGLIATO. Prova a pensare: quanto tu leggi qualcosa e trovi uno strafalcione di ortografia o grammatica, che succede? Che la tua attenzione si focalizza lì, e tu noterai solo quello, ignorando completamente il messaggio che quel testo avrebbe dovuto passarti. Ma non solo. Tu, per un’operazione al cuore, ti fideresti di un chirurgo che si presenta in ciabatte, con i guanti sporchi e strappati? Non credo proprio. La stessa cosa succede per i tuoi clienti: perché loro decidano di comprare da te e non dai concorrenti, devi mostrare TUTTA la tua competenza, tutta la tua professionalità fin dalla prima impressione… che nella stragrande maggioranza dei casi avviene tramite un testo scritto, che sia la tua insegna, un post su Facebook, un articolo di blog, una newsletter o persino un volantino. Per il tuo libro, questo discorso è ancora più importante: riempirlo di errori di ortografia vorrebbe dire non solo ridurre a zero la sua efficacia, ma renderlo dannoso perché capace di scacciare tutti i tuoi potenziali clienti. Perciò, se vuoi che il tuo libro sia un magnete attira-clienti devi assolutamente evitare gli errori di ortografia! E quali sono gli errori più temibili a cui devi fare attenzione? Scopriamolo insieme! QUAL È Partiamo subito con uno strafalcione ahimè diffusissimo: il famigerato qual è scritto con l’apostrofo, il re degli errori di ortografia. Mettiamo subito le cose in chiaro: Qual è si scrive sempre e soltanto SENZA APOSTROFO. La discussione potrebbe anche finire qui, ma siccome “qual’è” viene scritto davvero ovunque, argomentiamo brevemente, perché c’è una spiegazione ben precisa. Si tratta di un caso di troncamento, e non di elisione (ad esempio, un’amica è un caso di elisione: cade la la -a di una, e si segnala con l’apostrofo). Qual e quale infatti sono due forme distinte e autonome, perciò, semplicemente, nel caso di qual + verbo essere alla terza persona singolare presente, sceglieremo QUAL e non quale. Ignora chiunque ti dica il contrario: nell’italiano moderno, l’unica forma corretta è questa: QUAL È. (Sei curioso di approfondire la questione fin nei minimi dettagli? Vai a rileggere Quando l’apostrofo non serve!) PIUTTOSTO CHE al posto di OPPURE Questo errore di ortografia è talmente orribile da essere diventato, in moltissimi video sui social una parodia. Quindi, stacci lontano e stampati a fuoco in testa che: Piuttosto che NON vuol dire oppure. Piuttosto che significa ANZICHÉ. Punto. E se lo usi in maniera sbagliata non si capisce nulla e crei fraintendimenti! Vediamo un esempio pratico: Preferisco bere birra piuttosto che vino. Vuol dire che voglio bere birra, e non vino… e tantomeno che la scelta mi è indifferente: io voglio proprio la birra! (Sei curioso di approfondire la questione fin nei minimi dettagli? Vai a rileggere Non tutte le parole sono intercambiabili!) UN PO’ Ogni volta che vedo un po’ scritto con l’accento, un pò, mi inalbero moltissimo. Santi numi: apostrofi e accenti NON sono la stessa cosa! Sono “segnetti” graficamente diversi, e indicano cose diverse: l’apostrofo una caduta di qualcosa, l’accento segnala un innalzamento del tono di voce. In questo caso, siamo di fronte a un troncamento: un poco -> un po’ Poco perde la sillaba finale, -co, e questo fatto viene obbligatoriamente segnalato dall’apostrofo. Quindi, si scrive sempre UN PO’. Non un pò, e nemmeno un po (il Po è soltanto il fiume, lettera maiuscola, niente accento, niente apostrofo). Perciò, via quell’accento e usa l’apostrofo, se vuoi evitare gli errori di ortografia! (Sei curioso di approfondire la questione fin nei minimi dettagli? Vai a rileggere Ne vuoi un po’?) GLI/LE/LORO In questo caso, abbiamo a che fare con dei pronomi… che troppe volte vengono usati a caso, uno al posto dell’altro, senza alcuna attenzione. BACCHETTATE! Si tratta di tre pronomi differenti, perciò hanno tre significati e tre usi differenti: non sono intercambiabili. Gli: pronome personale atono, 3a persona singolare maschile; equivale a “a lui”. Le: pronome personale atono, 3a persona femminile singolare; equivale “a lei”. Loro: pronome personale atono, 3a persona plurale; equivale a “a essi”. Come vedi, i tre differenti pronomi servono per marcare le differenze tra maschile e femminile, e plurale. Quindi avremo, ad esempio: Gli ho detto di andarsene e non tornare. (A LUI, maschile). Le ho chiesto di farmi avere la relazione per venerdì. (A LEI, femminile) Ho incontrato i miei fratelli e ho dato loro i regali di Natale. (A LORO, plurale) Puntualizziamo ancora una volta: GLI = A LUI LE = A LEI LORO = A LORO Semplice, lineare e senza possibilità di fraintendimenti! (Sei curioso di approfondire la questione fin nei minimi dettagli? Vai a rileggere Gli, li, le, loro!) SÌ O SI Quanta pazienza che ci vuole. Veramente tanta. Gli errori di ortografia qui piovono. La questione, di per sé, è semplicissima: sì e si sono due parole diverse, quindi l’accento
La punteggiatura: come si usa? [parte 3] – Come scrivere un libro 16
Apostrofo, accento e altri trattini: la punteggiatura Trattini e lineette Virgolette Parentesi BONUS: apostrofo o accento? Non sei davvero un’Autorità del tuo settore finché non hai scritto il tuo libro… ma attento: se non lo fai come si deve, otterrai l’effetto opposto facendo scappare a gambe levate tutti i tuoi lettori e potenziali clienti! Ecco perché devi stare MOLTO attento a come scrivi… e a come usi la punteggiatura. Sembra una minuzia, un insieme di segnetti sulle pagine: tuttavia, è in grado di fare la differenza tra un libro (che, ricordiamoci, in questo caso è anche un potentissimo strumento di Comunicazione) di successo e uno usato come fermaporta. Negli scorsi due articoli abbiamo quindi iniziato a vedere insieme un vademecum su come utilizzare la punteggiatura nei tuoi testi, e quindi nel libro della tua azienda. Stiamo quindi parlando dello scheletro stesso del tuo testo, di quell’elemento che gli conferisce ritmo e scorrevolezza e che tiene i lettori appiccicati alla pagina, oltre a esprimere l’intonazione, le pause e l’espressività del parlato. Non è mai superfluo ricordare che ogni segno di interpunzione ha una sua funzione ben precisa; ovviamente, NON sono intercambiabili tra loro e ognuno ha le proprie regole per essere usato correttamente ( apostrofo o accento, ad esempio: NON si possono usare uno al posto dell’altro). Nello primo articolo, La punteggiatura: come si usa? [Parte 1], abbiamo visto insieme punto virgola punto e virgola Nel secondo articolo, La punteggiatura: come si usa? [Parte 2], invece: Due punti Tre puntini Punti esclamativi e interrogativi Oggi siamo quindi giunti all’ultima di queste tre puntate, dove parleremo di segni sfuggenti e solitamente ritenuti meno importanti… e quindi spessissimo usati in maniera errata: Trattini e lineette Virgolette Parentesi BONUS: apostrofo o accento? A cosa servono esattamente? Come si usano correttamente? Quali sono gli errori da non fare mai? Vediamolo insieme! TRATTINI E LINEETTE Ebbene sì: trattino e lineetta sono due segni di punteggiatura ben distinti. Ancora peggio: a volte succede anche che le persone non lo sappiano , e li usino in maniera del tutto intercambiabile, a sentimento: a farne le spese più spesso è la lineetta, perché sulla tastiera del PC non compare. So che a prima vista l’unica differenza che può saltare all’occhio è il fatto che il primo sia corto, e la seconda un pochino più lunga: verissimo, graficamente la differenza è quella. Ma questa differenza grafica non è un semplice vezzo, ed esiste per un buon motivo… … ovvero perché ognuno di questi due segni di punteggiatura ha la propria specifica funzione! A cosa servono? Trattino: – Talvolta viene chiamato anche trattino breve, trattino corto o trattino d’unione, come calco dal francese trait-d’union, La sua funzione principale è quindi quella di UNIRE. Lineetta: –. Come vedi, è poco più lunga del trattino, ma la sua funzione è in un certo senso opposta: serve a SEGNARE UNO STACCO. Come si usa il trattino? NB: si scrive sempre senza spazio prima né dopo es. Emilia-Romagna Per unire tra loro due parole strettamente collegate: -“da… a” esempio: l’autostrada Torino-Piacenza. – “tra… e” esempio: la partita Italia-Germania. – “di… e” esempio: il patto Molotov-Ribbentrop. Quando ci troviamo davanti un composto di uso occasionale o non ancora affermato, che quindi non è ancora percepito come parola singola. Esempio: vetero-forense. In termini composti con l’incontro di due lettere uguali. Esempi: maxi-indulto; super-raggio; post-terremoto. Tra due numerali in sequenza, sia in cifre che in lettere, quando ha in pratica la funzione della congiunzione e. Esempio: prendi due-tre pasticche; leggi pagine 12-13. Con una giustapposizione di aggettivi con riduzione del primo elemento. Esempio: guerra franco-normanna; appennino tosco-emiliano; rivista tecnico-scientifica. Per marcare vari tipi di legami tra due nomi, di cui, per esempio, il secondo può fungere da attributo o predicato del primo. Esempio: Stato-nazione; città-stato; incontro-scontro. ATTENTO: NON si usa mai: Dopo la particella ex. Esempio: ex fidanzato; ex campione. In termini composti ormai entrati nell’uso comune (attenzione però a vedere in che modo sono si sono cristallizzati, se uniti o separati… in caso di dubbio, il dizionario saprà indicarti la giusta via). Esempio: supereroe; neolaureato; ma anche guerra lampo; linee guida. Come si usa la lineetta? Può venire usata al posto delle virgolette per introdurre (e ovviamente, anche chiudere) il discorso diretto. Esempio: – Oggi è proprio una bella giornata per scrivere – disse Giacomo. Può venire usata per segnalare un inciso. Esempio: La lineetta – da non confondere con il trattino – è un segno di interpunzione. Può venire usata in una citazione, subito prima di indicarne il nome dell’autore: Esempio: “La Via prosegue senza fine.” – J.R.R. Tolkien Quindi, in quali casi NON si deve usare? Semplice: in tutti i casi in cui è richiesto il trattino! VIRGOLETTE Gli usi delle virgolette sono molteplici, ma si possono individuare tre funzioni principali: come segno di citazione, di distanziamento o metalinguistica. La Treccani riassume così: La virgoletta è un segno di punteggiatura usato sempre in coppia per contrassegnare una o più parole come una citazione, un discorso diretto o una traduzione, oppure per connotare un’espressione di uso speciale o traslato. A cosa servono le virgolette? In ogni caso, le virgolette sono segni di punteggiatura servono sempre per mettere in evidenza qualcosa. In parole più semplici, servono per riportare dialoghi e citazioni per mettere in evidenza una frase o una parola dal significato particolare. Ne esistono tre tipi, e l’uso di un tipo rispetto a un altro dipende dalle convenzioni dell’area linguistica (ad esempio, in Italia si preferiscono le caporali alle alte per segnare il discorso diretto) o della casa editrice: Virgolette basse (o caporali, o sergenti, o francesi) «esempio» Virgolette alte (o doppi apici, o inglesi) “esempio” Apici (o virgolette singole alte, o tedesche) ‘esempio’ Come si usano le virgolette? Discorso diretto Per riportare i dialoghi, si aprono le virgolette prima dell’inizio della frase(“;
La punteggiatura: come si usa? [Parte 2] – Come si scrive un libro 15
La punteggiatura: come si usano i punti Due punti Tre puntini Punto esclamativo e interrogativo Vuoi che i tuoi lettori stiano incollati alle pagine del tuo libro o vuoi che lo usino per attizzare il fuoco? Allora attento a come scrivi… e a come usi la punteggiatura! Nello scorso articolo abbiamo iniziato a vedere insieme un vademecum su come utilizzare la punteggiatura nei tuoi testi, e quindi nel libro della tua azienda. Ricordiamolo di nuovo: la punteggiatura sembra una minuzia, un elemento quasi di contorno… ma non è così, anzi! La punteggiatura è lo scheletro stesso del tuo testo, ciò che gli dà ritmo e scorrevolezza e che permette ai lettori di restare avvinti al filo del discorso, oltre a conferire l’intonazione, le pause e l’espressività del parlato: è quell’elemento capace di fare la differenza tra un testo di successo e uno pessimo, se non dannoso. E ogni segno di interpunzione ha una sua funzione ben precisa; ovviamente, NON sono intercambiabili tra loro e ognuno ha le proprie regole per essere usato correttamente. Nello scorso articolo, La punteggiatura: come si usa [Parte 1] abbiamo visto insieme punto virgola punto e virgola Oggi siamo pronti per continuare con altri quattro tipi di punti: Due punti Tre puntini Punti esclamativi e interrogativi A cosa servono esattamente? Come si usano correttamente? Quali sono gli errori da non fare mai? Vediamolo insieme! DUE PUNTI La Treccani riporta che: I due punti introducono una pausa intermedia tra il punto e la virgola e vengono usati per ottenere diverse funzioni sintattiche e testuali, come quelle dichiarativa, presentativa e argomentativa, o per introdurre il discorso diretto. In altre parole, si tratta di una pausa più breve del punto più lunga della virgola più lunga del punto e virgola che serve ad assolvere funzioni comunicative ben precise. A cosa servono i due punti? In pratica, i due punti servono a spiegare, precisare, presentare meglio un concetto, una cosa o una persona (di cui si sia appena parlato, o di cui si stia per parlare Come si usano i due punti? Per introdurre una dimostrazione, la conseguenza logica di un fatto, l’effetto di una causa: Suonai il campanello: la porta si aprì. Prima di una frase che sia apposizione della precedente: Osservai Guendalina: una gatta nera, dallo sguardo vigile. Prima del discorso diretto: Gandalf disse: “Andiamo a sinistra”. Prima di un elenco (a meno che l’elenco sia formato dal soggetto o dal complemento oggetto della frase precedente): Ho pubblicato diversi libri: un saggio, un romanzo e una raccolta di racconti [corretta] Ma non: A scuola ho studiato inglese, francese e tedesco [errata] ATTENZIONE: non usare MAI i due punti due volte nella stessa frase. Si tratta di un errore, che appesantisce inutilmente il discorso. TRE PUNTINI I tre puntini, o puntini di sospensione, hanno una funzione molto particolare; tuttavia, spesso vengono usati più del necessario o in maniera errata, che risulta molto fastidiosa per il lettore. La Treccani dice: I puntini (detti anche puntini sospensivi) sono una piccola serie di punti (di solito tre: ‹…›) che, nella scrittura, segnalano il luogo in cui un discorso è stato interrotto o lasciato in sospeso (da qui il nome). Sono usati per creare un senso di attesa, introdurre una reticenza o un’allusione, o lasciare sottintesa una parte del significato. A cosa servono i tre puntini? I puntini di sospensione servono appunto per segnalare una pausa, qualcosa di non detto e sottinteso evocare qualcosa nella mente del lettore, creando un effetto allusivo dare l’idea di imbarazzo o esitazione incuriosire il lettore creando un effetto di suspense In tutti i casi si tratta di segnalare una pausa forte nel discorso, alla quale però segue qualcos’altro, che venga esplicitato o meno. Come si usano i tre puntini? La regola d’oro è se ne usano SEMPRE e SOLO TRE Non due, non quattro, non cinque: TRE. Altre regole da tenere a mente sono: Si scrivono sempre attaccati alla parola che li precede, senza spazi in mezzo, e con uno spazio prima della parola che segue, se c’è. Ma allora… cosa sei venuto a fare? Se invece dopo i tre puntini troviamo un altro segno di punteggiatura, come una maiuscola o delle virgolette, allora non ci vuole alcuno spazio. “Forse…” disse Lucia. La parola che segue i tre punti vuole la lettera minuscola quando è evidente la continuità della frase, mentre negli altri casi, ovvero quando le due frasi sono indipendenti, ci vuole la lettera maiuscola. Se proprio devi… fallo in fretta! Guarda, cambiamo argomento… Cosa facciamo stasera? Infine, abbiamo un uso particolare: i puntini di sospensione inseriti tra parentesi quadre si usano per indicare che stiamo omettendo una parte di testo, ad esempio nelle citazioni. Poiché i consigli sono doni pericolosi […] e tutte le strade possono finire in un precipizio. – J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli (Vuoi approfondire il discorso? Ne abbiamo parlato in questo articolo: I punti di sospensione) PUNTO INTERROGATIVO E PUNTO ESCLAMATIVO La “serie dei punti” si conclude con il punto interrogativo e quello esclamativo: di solito, non presentano particolari problemi… ma ho visto scappare qualche brutto erroraccio anche qui. Punto interrogativo: detto anche punto di domanda, è il segno di interpunzione che conferisce alla voce il tono ascendente che marca una domanda. Punto esclamativo: è il segno di interpunzione che conferisce alla voce il tono discendente tipico di un’esclamazione; segna una pausa lunga e forte. Questi due segni di punteggiatura sono segni espressivi che marcano il tono di voce e rappresentano fedelmente il parlato; vanno usati con parsimonia, specialmente il punto esclamativo. Negli scritti informali sono molto più presenti; possono mancare del tutto in scritti molto formali e tecnici (ad es. testi burocratici, legislativi e di istruzioni. Come si usano? Punto interrogativo: Per porre una domanda, anche retorica (quindi, per chiudere una proposizione interrogativa diretta) Come
La punteggiatura: come si usa? [Parte 1] – Come si scrive un libro 14
Attento alla punteggiatura! Come si usa la punteggiatura… ma soprattutto a cosa serve? Punto Virgola Punto e virgola Cos’è quella cosa che rende il tuo testo piacevole e scorrevole come un ruscello di montagna… ma che se viene usata male lo rende un macigno insopportabile dal quale scappare lontano? La punteggiatura. Quasi non si vede, tanto che potresti quasi pensare che sia irrilevante… eppure, la punteggiatura è FONDAMENTALE quando scrivi: è quell’elemento capace di fare la differenza tra un testo di successo e uno pessimo se non dannoso. Può essere un intero libro, un articolo o anche una singola riga di claim: l’ago della bilancia finale è la punteggiatura e il come la si usa. “Dobbiamo trovare tanti dubbi e timori in una cosa così piccola…” (cit. Boromir) Anche se tante, troppe persone non ci fanno minimamente caso, i segni di interpunzione sono estremamente affascinanti: così piccoli, non sono parole né lettere, tanto da sembrare quasi, talvolta, semplici elementi decorativi… e invece hanno un potere enorme, che viene troppo spesso ignorato. Sono l’ossatura stessa, lo scheletro di ogni testo: senza di loro, non riusciremmo a capire niente, vedremmo solo un confuso fiume di parole che si susseguono una attaccata all’altra. Il loro superpotere, oltre a scandire il testo scritto, è quello di riuscire a far sì che questo testo trasmetta l’intonazione, le pause e l’espressività del parlato. Hai presente la sensazione di fastidio quando ti trovi davanti qualcuno che parla a mitraglietta, velocissimo e senza fermarsi mai, con il risultato di non farti capire assolutamente nulla del discorso e di infastidirti? Ecco, un testo senza punteggiatura sortisce lo stesso effetto: il lettore si stanca subito, si irrita e passa oltre. Ogni segno di interpunzione ha una sua funzione ben precisa; ovviamente, NON sono intercambiabili tra loro e vanno usati correttamente per tirar fuori tutto il loro potere. Ora, la domanda a cui risponderemo in questo e nei prossimi articoli è: come si usa la punteggiatura? Prepara carta e penna, ne avrai bisogno per prendere appunti… e conquistare il superpotere della punteggiatura! IL PUNTO: UNA PAUSA DECISA Il punto è il più “forte” tra i segni di punteggiatura: Indica una netta interruzione del discorso e si colloca alla fine di una frase o un periodo a sé stante, che esprime un concetto compiuto. A cosa serve il punto? La sua funzione principale è quella di creare una pausa netta e decisa. Dato che segna la fine di un periodo, il punto serve a indicare al lettore che il pensiero espresso è completo e che sta per iniziare un nuovo argomento o una nuova informazione. Inoltre, l’uso del punto serve anche a evitare ambiguità: aiuta a distinguere frasi con la stessa struttura ma con significati diversi. Come si usa il punto? In realtà, è molto semplice: ci sono solo tre utilizzi da tenere a mente: Alla fine di un periodo: si usa sempre il punto, a prescindere dalla lunghezza o dalla complessità della frase. Dopo le abbreviazioni: il punto viene utilizzato per indicare l’abbreviazione di una parola, come “dott.” per “dottore”. Nelle sigle: il punto separa le lettere che compongono una sigla, come “A.C. Milan”. Fanno eccezione, in questo caso, gli acronimi più conosciuti e diffusi (come ad esempio FIAT, ENPA, CGIL eccetera). Come vedi, per quanto riguarda il punto le cose da tenere a mente sono poche e semplici; perciò, passiamo senza indugiare alla virgola! LA VIRGOLA: PAUSA BREVE Meno forte del punto, la virgola è un segno di punteggiatura (,) che indica uno stacco di debole intensità tra due parole o due proposizioni contenute in un periodo e si usa in diversi contesti e con diverse funzioni. A cosa serve la virgola? Le principali funzioni di questo segno di interpunzione sono: Separare gli elementi di un elenco: “Ho comprato mele, pere, banane e arance.” Delimitare un inciso: “Marco, che è molto studioso, ha ottenuto ottimi voti.” Separare due frasi coordinate per asindeto: “Piove, esco con l’ombrello.” Separare una proposizione da una coordinata introdotta dalle congiunzioni ma, tuttavia, però, anzi Separare una proposizione principale da una proposizione subordinata introdotta da anche se, per quanto, poiché, benché, giacché, sebbene, quando, mentre Come si usa la virgola? In questo caso, voglio darti un paio di consigli pratici su questioni che spesso possono indurre in errore. La regola d’oro principale per la virgola è non si usa MAI tra soggetto e predicato “Il gatto nero miagola.” [e NON “Il gatto nero, miagola.”] e nemmeno tra verbo e complemento “Il gatto osserva gli uccelli” [e NON “Il gatto osserva, gli uccelli.”] tra sostantivo e aggettivo “Il gatto nero miagola” [e NON “Il gatto, nero miagola.”] Altre regole importanti da tenere a mente sono: Si usa la virgola prima di ma, e, o quando le frasi coordinate non hanno lo stesso soggetto: “Marco studia, ma sua sorella preferisce giocare.” Si usa la virgola dopo un vocativo: “Ciao, Anna, come stai?” PUNTO E VIRGOLA: PAUSA NON TROPPO BREVE, NON TROPPO LUNGA Giungiamo al più spinoso di questi tre primi segni di punteggiatura: il punto e virgola, troppo spesso dimenticato o mal utilizzato. Il punto e virgola indica uno stacco intermedio tra due proposizioni di un periodo: più forte della semplice virgola e meno forte del punto. A cosa serve il punto e virgola? Questo significa che serve in primo luogo a marcare una pausa nel discorso: questa pausa sarà più lunga di una indicata da una virgola, ma più corta di una indicata da un punto… e anche dai due punti. Inoltre, serve a separare due frasi strettamente legate tra loro ma che esprimono concetti distinti. Come si usa il punto e virgola? Il punto e virgola non segna la chiusura di un periodo, come il punto, ma condivide in gran parte le funzioni della virgola, alla quale va preferito in due casi secondo la grammatica di
Scrivi chiaro e semplice – Come si scrive un libro 13
Scrivi chiaro e semplice: perché? Scrivi chiaro e semplice e conquista i lettori Fatti capire: evita l’antilingua La scala dei pensieri Vuoi conquistare lettori? Scrivi chiaro e semplice! Per scrivere un libro NON ti servono paroloni astrusi: il tuo obiettivo non è stupire il lettore con dettagli complicati e tecnicismi… ma avvicinarti a lui e farti capire in modo il più possibile lineare, chiaro e semplice. Il linguaggio è uno strumento potentissimo. Grazie ad esso, puoi comunicare informazioni, esprimere sentimenti ed emozioni, dare istruzioni, raccontare storie, relazionarti con le altre persone… il che può voler dire anche persuaderle, annoiarle o allontanarle. Il “lato oscuro” del linguaggio è questo: può essere usato per confondere le persone. Prova a pensare a Don Abbondio nei Promessi Sposi e al latinorum che usa con Renzo per cercare di confondergli le idee mentre cerca una scusa per non celebrare il matrimonio: un insieme di paroloni astrusi e complicati… proprio quello che tu devi evitare assolutamente quando scrivi il tuo libro. Di fronte al latinorum, Renzo non capisce e giustamente si arrabbia: perciò, se non vuoi che succeda la stessa cosa ai tuoi lettori, scrivi chiaro e semplice! Se ci pensi, succede anche a te: dai più fiducia a qualcuno che ti sa spiegare le cose in maniera chiara e comprensibile, o a qualcuno che infila un parolone e un tecnicismo dietro l’altro parlando di cose che non conosci o conosci poco? Qui c’è da fare una puntualizzazione, quella che potremmo definire la Regola Numero 1: Parla al tuo cliente, sempre… e ricordati che il tuo cliente non sa le cose che sai tu, e di solito non parla come te. Nell’articolo Per chi scrivi? abbiamo visto insieme che il libro che stai scrivendo non deve essere per te, ma per i tuoi lettori, mentre nello scorso articolo, Parla al tuo cliente, abbiamo visto che devi adottare il suo linguaggio: oggi facciamo un passo in più. Ovvero, dopo aver scelto il registro linguistico adatto qual è il tipo di linguaggio che devi assolutamente evitare… e come creare un discorso fluido e comprensibile che catturi i tuoi lettori! Sei pronto a scoprire come fare? Continua a leggere! FATTI CAPIRE: EVITA L’ANTILINGUA L’antilingua (così come la chiamava Calvino) anche conosciuta come burocratese è un nemico terribile per tutti i tuoi testi scritti, specialmente quando si tratta della comunicazione della tua azienda… e ancora di più quando c’è in ballo il tuo libro! Si tratta di uno stile comunicativo, un uso particolare del linguaggio, inutilmente complicato e verboso. La Treccani lo definisce così: burocratése agg. e s. m. […]. – Termine scherz. o polemico con cui viene talvolta indicato il linguaggio e lo stile particolare, involuto e scarsamente comprensibile, in uso nei vari settori della burocrazia e in genere nella pubblica amministrazione. Capisci perché il burocratese è da evitare assolutamente? Perché rende la comunicazione INCOMPRENSIBILE… e quindi INUTILE. Stai scrivendo un libro: qual è il tuo scopo? Crogiolarti nella soddisfazione di averlo fatto… o farti capire, conquistare lettori e alla fine trasformarli in clienti? (Se non sei convinto della risposta a questa domanda, ti consiglio di rileggere Perché devi scrivere un libro?) E ti assicuro che se tu lo facessi usando il burocratese, renderesti i tuoi testi illeggibili e inutili… riducendo il tuo libro a carta straccia. A questo punto potresti obiettare che burocratese è un tipo di linguaggio che non ti appartiene: cosa c’entri tu con la burocrazia? Tuttavia, il rischio di ritrovarti a usarlo inconsapevolmente c’è. Ma facciamo un passo indietro. Questo linguaggio nacque nel Quattrocento per necessità giuridiche: poiché si stavano costituendo le prime entità sovramunicipali di tipo giuridico e amministrativo, era necessario in qualche modo uniformare questo linguaggio per favorire la comunicazione. L’influsso del latino giuridico e di quello della curia fu perciò una componente importante, così come il modello toscano che andava imponendosi. Seguendo questa linea, nel corso di secoli la lingua amministrativa e giuridica si arricchì con diversi stranierismi, a seconda dei rapporti che venivano intrapresi con altri Stati… con il risultato di allontanarla ancora di più dalla lingua “normale”, quella comunemente parlata. Gli intellettuali che si scagliarono contro questa lingua incomprensibile furono molti, come ad esempio Vincenzo Monti, che lo definiva “dialetto barbaro” e “orrida mistura”. Tuttavia, nonostante le proteste, le esigenze alla base della nascita di questo tipo di linguaggio erano troppo forti: La necessità di unificare le procedure burocratiche nello Stato italiano, superando le divisioni degli Stati pre-unitari La creazione di un gergo elitario, che, come sempre succede in questi casi, è contestuale all’esistenza di gruppi che, in quanto tali, per mantenere il loro potere escludono nettamente tutti gli esterni anche passando attraverso il linguaggio E così… arriviamo al ‘900, e al già citato Italo Calvino, che contro l’antilingua scrisse e parlò più volte, perché troppo astratta, distante dalla realtà e “più utile a non dire che a dire”. E oggi? Purtroppo, la questione non è risolta: il burocratese resiste, imperterrito, e non ci sono segni di miglioramento. Il linguaggio amministrativo, giuridico e quello della burocrazia rimangono perlopiù assurdamente complicati e grotteschi, impersonali e freddi. Ed ecco che veniamo al punto che ti tocca da vicino: a volte, troppo spesso, questo tipo di linguaggio viene usato in contesti diversi da parlanti che vogliono in qualche modo “darsi un tono” o camuffare l’inconsistenza di ciò che hanno da dire tramite parole di fatto vuote. Uso inutile ed esagerato di tecnicismi, forme passive come se piovessero, sintassi inutilmente elaborata, perifrasi non necessarie e via dicendo: tutto ciò che devi evitare quando scrivi il tuo libro. (Vuoi saperne di più? Ne abbiamo parlato qui: Il burocratese) Come? Facile: scrivi chiaro e semplice! LA SCALA DEI PENSIERI Dopo aver stabilito che il linguaggio che devi usare NON è inutilmente forbito e complicato, è il momento di fare un
Parla al tuo cliente – Come si scrive un libro 12
Parla al tuo cliente: come si fa? Prima regola: parla al tuo cliente I registri linguistici Il dialogo mentale Qual è l’arma segreta per catturare l’attenzione dei tuoi lettori/clienti? Il modo in cui gli parli… o scrivi, dato che stiamo parlando di come scrivere il libro della tua azienda. Cosa significa esattamente? Che la prima regola va sempre rispettata: Parla al tuo cliente, sempre. Detta così, sembra una regola scontata, ma ti assicuro che non lo è, e ti spiego subito perché. Nell’articolo Per chi scrivi? abbiamo visto insieme che il libro che stai scrivendo non deve essere per te, ma per i tuoi lettori. Tu non sei il tuo target. Il tuo target sono i tuoi lettori. Eppure, non sai quante volte capita, talvolta persino nel Laboratorio dei Sarti, che arrivino imprenditori innamorati a tal punto della loro idea e della loro visione del mondo da convincersi che sia l’unica esistente. E quindi sono convinti che: ciò che piace a loro piaccia a tutti i potenziali clienti (o addirittura a tutto il mondo) ciò che per loro è evidente lo sia per tutti il loro modo di pensare e parlare sia l’unico esistente Tuttavia… non è minimamente così. I tuoi lettori non sono te. Non sanno le cose che sai tu. E non parlano come te, anzi… sei TU che devi imparare a pensare e parlare come loro! E quindi, a scrivere usando il LORO linguaggio e seguendo il LORO dialogo mentale. Ora, giustamente, potresti chiederti cosa significa, nel pratico, “parla al tuo cliente”: ecco perché nell’articolo di oggi analizzeremo insieme due elementi fondamentali per farlo. Primo elemento: Il registro linguistico da usare e come sceglierlo Secondo elemento: Il dialogo mentale dei tuoi lettori, e come infilartici! Sei pronto a scoprire come fare? Continua a leggere! I REGISTRI LINGUISTICI In linguistica, un registro è una varietà della lingua utilizzata in base al rapporto psicologico e sociale che c’è tra i locutori, alle circostanze in cui avviene la comunicazione e al mezzo impiegato. I registri linguistici possono essere classificati in base a diversi criteri, tra cui: Il livello di formalità, che va dal registro elevato, utilizzato in contesti formali e con interlocutori sconosciuti o di riguardo, al registro familiare, utilizzato in contesti informali e con interlocutori con cui si ha un rapporto di confidenza. Il livello di tecnicità, che va dal registro tecnicistico, utilizzato in contesti specialistici, al registro comune, utilizzato in contesti generalisti. Il livello di espressività, che va dal registro emotivo, utilizzato per esprimere emozioni, al registro oggettivo, utilizzato per fornire informazioni in modo neutrale. Vediamo insieme i principali registri, per entrare nel pratico e capire come di solito parla il tuo cliente… e quindi come devi parlargli tu! Registro elevato Il registro elevato è caratterizzato da un uso del lessico e della grammatica più curato e ricercato. È utilizzato in contesti formali, come conferenze, cerimonie, discorsi politici o articoli di giornale. Esempi: “Il presidente della Repubblica ha inaugurato la nuova sede del Parlamento.” “Il convegno internazionale sulla ricerca spaziale ha aperto i battenti.” Registro medio Il registro medio è quello più utilizzato nella lingua parlata e scritta quotidiana. È caratterizzato da un uso del lessico e della grammatica standard. Esempi: “Ho visto un film molto bello ieri sera.” “Domani devo andare a lavoro.” Registro familiare Il registro familiare è caratterizzato da un uso del lessico e della grammatica più informale. È utilizzato in contesti informali, come conversazioni con amici o familiari. Esempi: “Che palle, oggi mi sento proprio giù.” “Dai, andiamo a vedere un film stasera?” Registro tecnico Il registro tecnico è caratterizzato da un uso del lessico e della grammatica specialistico. È utilizzato in contesti in cui si parla di argomenti specifici, come la scienza, la tecnologia o la medicina. Esempi: “L’atomo è la più piccola particella di materia che costituisce la materia.” “Il computer è un dispositivo elettronico in grado di elaborare dati.” Registro espressivo Il registro espressivo è caratterizzato da un uso del lessico e della grammatica volto a esprimere emozioni o stati d’animo. È utilizzato in contesti in cui si vuole sottolineare un particolare aspetto del messaggio. Esempi: “Sono felicissimo di annunciarvi che ho trovato lavoro!” “Mi sento così triste, non so cosa fare.” Ora che abbiamo le idee un po’ più chiare, potresti chiederti perché questi registri siano così importanti: la conoscenza e l’uso dei registri linguistici sono fondamentali per chi vuole scrivere un libro, perché consentono di comunicare in modo efficace con il proprio lettore. Innanzitutto, è importante scegliere il registro linguistico giusto per il tipo di libro che si sta scrivendo. Ad esempio, un romanzo ambientato in un’epoca passata potrebbe richiedere l’uso di un registro linguistico più elevato, mentre un romanzo contemporaneo potrebbe richiedere l’uso di un registro linguistico più familiare. In secondo luogo, è importante utilizzare i registri linguistici in modo coerente all’interno del libro. Se, ad esempio, il protagonista del romanzo è un giovane universitario, è importante che il registro linguistico utilizzato sia coerente con l’età e la condizione sociale del protagonista. Infine, è importante utilizzare i registri linguistici per creare effetti stilistici. Ad esempio, l’uso di un registro linguistico elevato può dare al libro un tono solenne o epico, mentre l’uso di un registro linguistico familiare può dare un tono colloquiale o ironico. Tuttavia… al nostro discorso manca ancora un tassello, quello più importante: ovvero quello che ti permette di capire quale registro linguistico devi scegliere per parlare al tuo cliente. Di cosa parlo? IL DIALOGO MENTALE DEL TUO CLIENTE Questo articolo ha un titolo ben preciso: parla al tuo cliente… anche se stiamo in realtà parlando di scrivere un libro, e non di una conversazione faccia a faccia. Perché ho usato il verbo parlare, allora? Tutti noi esseri umani siamo
La tua storia – Come si scrive un libro 11
Il potere della tua storia Perché dovresti raccontare la tua storia? Il viaggio dell’Eroe Racconta la tua storia Un capitolo che non può mancare nel libro della tua azienda: quello che racconta la tua storia! E non intendo la storia della tua azienda o del tuo prodotto (servono anche queste, ma non bastano), ma proprio la tua storia personale… e no, non puoi farne a meno. Non è un’opzione, non è un capriccio: sei un imprenditore, e se vuoi davvero arrivare al successo, è assolutamente necessario che tu metta te stesso, la tua faccia e la tua personalità nella Comunicazione Online. Perché? Perché le persone non vogliono comprare da un sito anonimo o da un nome sconosciuto: vogliono comprare da altre persone. La relazione tra te e i clienti, per funzionare (ovvero, loro ti danno i loro soldi, tu gli fornisci i tuoi prodotti/servizi, e alla fine sono tutti felici) deve obbligatoriamente basarsi sulla fiducia. Tu compreresti mai da qualcuno che non conosci e non ti ispira nessuna fiducia? Certo che no. E lo stesso vale per i tuoi clienti! Ed è proprio qui che si inserisce la necessità di raccontare la tua storia nel libro della tua azienda: serve per darti un volto, per farti conoscere come persona. (Hai ancora dei dubbi sul perché dovresti scrivere il libro della tua azienda? Rileggi qui: Come si scrive un libro 0. Perché devi scrivere un libro?) E perché questo è così importante? Le persone vogliono conoscerti, per capire se possono fidarsi di te Le persone vogliono sapere perché fai quello che fai, prima di decidere di darti i loro soldi Raccontando loro la tua storia, non solo soddisfi questi loro bisogni, ma vai a soddisfare anche la loro curiosità. In più, se gli mostri le difficoltà che hai affrontato, le volte che sei caduto e ti sei rialzato, farai sì che possano sentirsi più simili a te, alimentando ancora di più la relazione che stai cercando di instaurare. Infatti, non puoi raccontare la tua storia in maniera casuale… ma devi darle una struttura particolare. Quale? IL VIAGGIO DELL’EROE Lasciamo per un momento il mondo della Comunicazione Online e addentriamoci in quello della letteratura. Il Viaggio dell’Eroe è un modello narrativo universale, ovvero una struttura narrativa che si ritrova in moltissime storie, di tutti i tempi e di tutti i generi. Questo modello descrive il percorso di crescita e trasformazione di un protagonista, che si imbarca in un viaggio avventuroso e pericoloso, per affrontare una sfida o più sfide e tornare a casa cambiato. Il concetto di viaggio dell’eroe nasce negli anni ’40, grazie al lavoro dello studioso americano Joseph Campbell, che nel suo libro L’eroe dai mille volti analizza la mitologia e le religioni di tutto il mondo, e individua un modello comune a tutte le storie di eroi. Questo modello è composto da una serie di tappe che il protagonista deve attraversare per completare il suo viaggio. Il viaggio dell’eroe può essere suddiviso in tre atti principali: Partenza, ovvero la chiamata all’avventura: l’eroe viene chiamato a intraprendere un viaggio, spesso contro la sua volontà. Iniziazione, ovvero ostacoli, prove e ricompensa: l’eroe supera una o più prove e/o ostacoli, riuscendo alla fine a ottenere una ricompensa. Il ritorno: l’eroe torna a casa, cambiato e trasformato dall’esperienza. All’interno di queste tre fasi, si possono individuare una serie di tappe più specifiche, che possono variare a seconda della storia. Alcune delle tappe più comuni sono: Il mondo ordinario: il mondo in cui vive l’eroe prima di intraprendere il viaggio. Il mondo soprannaturale: il mondo in cui l’eroe si reca durante il viaggio. Il mentore: un personaggio che aiuta l’eroe a crescere e a prepararsi per la sfida. Gli alleati: i personaggi che aiutano l’eroe durante il viaggio. L’antagonista: il personaggio che rappresenta la sfida che l’eroe deve affrontare. La prova suprema: la sfida più difficile che l’eroe deve superare. La resurrezione: la trasformazione dell’eroe, che torna a casa cambiato e più consapevole. Il viaggio dell’eroe è una struttura narrativa importante per diversi motivi, ed è qui che si spiega perché per te è importante! Innanzitutto, è un modello universale che si ritrova in storie di tutti i tempi e di tutti i generi. Questo significa che può essere utilizzato per raccontare storie che siano comprensibili e coinvolgenti per un pubblico vasto. In secondo luogo, il viaggio dell’eroe rappresenta un percorso di crescita e trasformazione che è comune a tutti gli esseri umani. L’eroe, infatti, deve affrontare sfide e superare ostacoli per diventare una persona migliore. Questo percorso di crescita può essere identificato con il percorso di crescita di ogni individuo, che deve affrontare le sfide della vita per diventare una persona matura e realizzata. Infine, il viaggio dell’eroe è un modello narrativo che può essere utilizzato per trasmettere messaggi e valori importanti. L’eroe, infatti, spesso rappresenta un modello positivo, che incarna valori come il coraggio, la determinazione e la capacità di superare le difficoltà. Quindi… perché devi far tuo questo modello? RACCONTA LA TUA STORIA Ovviamente, per raccontare la tua storia nel miglior modo (e il più efficace!) possibile, ovvero: in modo coinvolgente in modo da far sentire il tuo lettore/cliente più vicino a te, creando empatia per mostrare la tua capacità di impegnarti e di superare le difficoltà per fare quello in cui credi davvero, ovvero la tua azienda. Ora, non farti prendere dal panico: so che non sei uno scrittore di professione, ma ti assicuro che non hai bisogno di chissà quali abilità segrete. Il fatto è che la tua storia ha di per sé questi elementi chiave che rientrano nel modello del viaggio dell’eroe, e dimostrartelo è molto semplice: tanto per cominciare, sono sicura che, prima di riuscire ad aprire la tua azienda tu abbia dovuto affrontare molte difficoltà. Non solo: è anche probabile che tu abbia avuto un mentore, una figura di