Di’, di che si parla oggi?

Di, dì e di’: simili solo in apparenza

“Come scrivere bene”: tutti prima o poi ce lo siamo chiesto, almeno una volta nella vita.

 

Magari eravamo obbligati a farlo per arrivare alla sufficienza in italiano e non farci bocciare a fine anno; oppure, quando abbiamo dovuto scrivere il primo curriculum vitae con tanto di lettera di presentazione; o ancora, per scrivere un articolo che sarebbe stato pubblicato da qualche parte o che comunque avrebbero letto altre persone… o ancora, per preparare un biglietto per qualcuno a cui teniamo, per festeggiare un’occasione importante.

 

Ma ora… 

ora siamo di fronte a qualcosa di ancora diverso, che non puoi sottovalutare mai: la comunicazione online della tua azienda!

 

Qui non è in gioco un mezzo voto sulla pagella o il giudizio benevolo di qualche amico: qui i giudici sono i tuoi clienti! E se non li soddisfi… andranno dalla concorrenza!
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Il tema di oggi riguarda un’apparente sottigliezza, ma in realtà si tratta di una questione importante: (se provi a cercare su Google, vedrai che troverai ben 24.400.000 risultati!): la differenza, e quindi il corretto utilizzo, di di, e di’.

Sembrano tre parole uguali… ma non lo sono!

 

È vero, sono tre omonimi, ovvero tre parole che hanno stessa grafia e stessa pronuncia, come indica la Treccani, ma sono i dettagli a fare la differenza: in questo caso accento e apostrofo… oppure l’assenza di entrambi.

 

A seconda del caso, cambiano sia il significato che la funzione della parola nella frase: inutile dire che non sono assolutamente intercambiabili, altrimenti BACCHETTATE!

 

Quindi ora, senza indugio, andiamo a vedere la differenza tra di, e di’!

 

blocco per appunti e una penna rossa

Kelly Sikkema on Unsplash

 

 

DI

Partiamo dal più semplice: di senza accento né apostrofo.

 

Si tratta di una preposizione semplice: ricordi la cantilena che ci insegnavano da bambini affinché imparassimo a ricordarcele tutte, “di a da in con su per tra fra”? Si tratta precisamente di quella, la prima della lista.

 

La preposizione di serve per collegare due elementi della stessa frase oppure per collegare due frasi distinte.

 

Quando serve a collegare due elementi della stessa frase, di introduce diversi tipi di complementi indiretti, come ad esempio:

 

  • La città di Minas Tirith. (compl. di denominazione)
  • Mi hanno fatto una multa di 42 €. (compl. di pena)
  • La Penna Rossa è di Mongardino. (compl. di origine o provenienza)
  • Questo libro parla di grammatica e linguistica. (compl. di argomento)
  • La camicia è macchiata di vino. (compl. di agente e causa efficiente)
  • La mia spada a due mani è di ferro. (compl. di materia)
  • Tiro un sospiro di sollievo. (compl. di causa)
  • La durata del corso è di due anni. (compl. di tempo continuato)

 

E via dicendo.

 

Quando invece serve a collegare due frasi, può introdurre diversi tipi di proposizioni implicite, come ad esempio:

 

    • Giacomo dice di star bene oggi (proposizione completiva implicita)
    • Ti prego di non farlo mai più. (proposizione finale implicita)
  • Andrei in capo al mondo, pur di aiutarti. (proposizione condizionale implicita)

 

Quando necessario, ovvero quando si trova prima di una parola che inizia per vocale, può subire un’elisione (ovvero si apostrofa perdendo la –i), a differenza della preposizione da che invece non si elide mai proprio per evitare confusioni con di.

 

Quindi ricorda: di senza accento serve per stabilire un collegamento tra due elementi.

pile di libri

Dim Hou on Unsplash

 

 

DI’ 

Passiamo ora al secondo caso: di’ con l’apostrofo.

 

Qui abbiamo a che fare con un verbo, e per la precisione con la seconda persona singolare al presente imperativo del verbo dire:

  • Di’! (tu)
  • Dica! (egli)
  • Diciamo! (noi)
  • Dite! (voi)
  • Dicano! (essi)

 

Vedi? Guarda come si distingue, con il suo apostrofo!

In questo caso, l’apostrofo serve per segnalare un troncamento, ovvero la caduta di una sillaba: dì’ per dici. Ecco perché vuole obbligatoriamente l’apostrofo e non l’accento: la sillaba finale –ci cade, e il suo posto viene preso dall’apostrofo!

 

Normalmente, un troncamento non prevede l’uso dell’accento, come nell’espressione “buon uomo” (anziché “buono uomo”): in questo caso però è obbligatorio, proprio perché serve a creare una forma che sia specifica e inconfondibile.

 

Vediamo qualche esempio:

  • Di’, tu che guardi: che ne pensi?.
  • Suvvia, di’ chiaramente quello che vuoi!

 

Perciò, se il tuo di’ sta esprimendo un ordine in maniera imperativa, sai che senza ombra di dubbio richiede l’accento!

Semplice, vero?

 

Qui non abbiamo un elemento di collegamento, ma un verbo che esprime un’azione ben precisa: l’esortare qualcuno a dire qualcosa.

ragazza con megafono

Clem Onojeghuo on Unsplash

 

 

E infine, giungiamo al con l’accento.
(E se non sai come scriverlo correttamente tutto maiuscolo, perché la Ì non c’è sulla tastiera… CLICCA QUI per scoprire come fare: si parla di È, ma funziona alla stessa maniera.)

 

In questo caso, abbiamo a che fare con un sostantivo vero e proprio, che significa giorno.

 

Vediamo cosa dice la Treccani in proposito:

 

dì (ant. die) s. m. [lat. dies]. – Sinon. di giorno, usato, soprattutto nel passato, nelle date: a dì (o addì) 15 maggio, o in espressioni tradizionali: tre volte al dì (nelle ricette mediche e posologie farmaceutiche), o anche in espressioni familiari e modi prov. come: conciare qualcuno per il dì delle feste; il buon dì si conosce dal mattino, dal principio si può prevedere il seguito; trenta dì conta novembre, con april, giugno e settembre; buon dì (o buondì), lo stesso che buongiorno […]. Con sign. specifico, in geografia astronomica (in contrapp. a notte e con sign. distintivo rispetto a giorno), l’intervallo di tempo dal sorgere al tramonto del sole. In composizione: mezzodì.

 

Oggi il suo uso è considerato piuttosto desueto, e rimane, oltre che nella filastrocca che tutti usiamo per ricordarci di quanti giorni è composto ogni mese, solo in geografia astronomica come termine tecnico e in alcune forme cristallizzate e colloquiali come buondì.

 

In questi casi, omettere l’accento è sempre un errore, così come sostituirlo con l’apostrofo.

campagna al tramonto

Federico Respini on Unsplash

 

QUINDI…

Come hai visto, si tratta di tre parole diverse e ben specifiche, ognuna con il ruolo e il suo significato preciso: usare quindi una grafia al posto di un’altra sarebbe come usare una forchetta per mangiare una minestra, o un cucchiaio per una bistecca… una scelta decisamente sbagliata in entrambi i casi.

E scommetto che tu ai tuoi clienti non vuoi apparire come un dilettante che sbaglia in modo così clamoroso…

… ma vorresti essere visto come l’Antonino Cannavacciuolo del tuo settore!

 

Perciò ricorda:

  • Di: preposizione, serve per collegare due elementi
  • Di’: verbo che serve per impartire un ordine
  • : sinonimo di giorno

 

L’importante è quindi aver sempre ben chiari il contesto e il concetto che desideri esprimere.

 

Alla fine, non è una questione così complicata come poteva sembrare all’inizio…
… e ti farà guadagnare un sacco di punti agli occhi dei tuoi clienti!

 

 

Ora tocca a te!

 

Mettiti al lavoro sui tuoi testi, per limarli e renderli accattivanti e interessanti: più lavorerai su di essi bene e con impegno, più i tuoi clienti vorranno leggerli… e più ti vedranno come un esperto navigato del tuo settore!

 

Sei impaziente di metterti alla prova?

 

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E per scoprire altri errori da NON fare…

…ci vediamo lunedì prossimo!

 

La Penna Rossa

 

BIBLIOGRAFIA

BARATTER P., Il punto e virgola. Storia e usi di un segno, Carocci, Roma 2018.

BECCARIA G.L., Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Einaudi, Torino 2004.

BERRUTO G., Corso elementare di linguistica generale, UTET, Torino 2012.

CANNAVACCIUOLO A., Manuale di copywriting e scrittura per il web, Hoepli, Milano 2019.

CERRUTI M., CINI M., Introduzione elementare alla scrittura accademica, Laterza, Roma-Bari 2010.

D’ACHILLE P., L’italiano contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2006.

DEL BONO G., La bibliografia, Carocci, Roma 2000.

DELLA VALLE V., PATOTA G., Piuttosto che: cose da non dire, cose da non fare, Sperling&Kupfer, Milano 2013.

FANCIULLO F., Introduzione alla linguistica storica, Il Mulino, Bologna 2007.

EDIGEO (a cura di), Manuale di redazione, Editrice Bibliografica, Milano 2013.

GHENO, V., Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi), Franco Cesati Editore, Firenze 2016.

GIUNTA, C., Come non scrivere, Utet, Milano 2018.

MARTINUCCI A., Guida alla bibliografia internazionale, Editrice Bibliografica, Milano 1994.

MIDDENDORP J., TWOPOINTS.NET, Type Navigator. The Independent Foundries Handbook, Gestalten, Berlin 2011.

MORTARA GARAVELLI B., Prontuario di punteggiatura, Laterza, Bari-Roma 2020.

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SCALA F., Piccolo manuale del correttore di bozze, Modern Publishing House, Milano 2011.

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SITOGRAFIA

Accademia della Crusca – accademiadellacrusca.it

Campagna a sostegno dell’uso corretto di Piuttosto che – piuttostoche.com

Treccani online – treccani.it

Zanichelli online – dizionaripiu.zanichelli.it

 

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